Burocratizzare la valutazione? No, vi prego...

Tra «regolare» e «burocratizzare» la valutazione degli alunni vi è una differenza abissale. Ma, come sovente capita quando si è ai bordi di uno strapiombo, in un equilibrio reso delicato da concetti a volte mal digeriti, è facilissimo precipitare. In questi giorni di PTOF, ricevo alcune richieste di parere su proposte di delibera da collocarsi decisamente sul fondale della fossa delle Marianne.

Provo fissare alcuni concetti di fondo, riassunti anche in alcune slide, liberamente scaricabili dai link, scelte tra quelle che uso per i miei studenti. 

Occorre, innanzitutto, conoscere BENE i limiti e le reciproche interazioni tra norme, delibere collegiali, libertà di insegnamento, ripulendo ciascun costrutto dalle incrostazioni. Le norme sono quelle vigenti, in testi reperibili sul portale Normattiva o sul sito del MIM e che qui ho raccolto; non sono i bigini interpretativi; non sono supposte «leggi» inesistenti evocate per giustificare corbellerie; non sono i «si è sempre fatto così» o le interpretazioni fantasiose di qualche sedicente espertone. Le norme delineano gli scopi generali della valutazione («formativo» ed «educativo»: leggere, se non Scriven, almeno la Greenstein per il primo termine; Corsini per il secondo); la scala ordinale scelta per la valutazione PERIODICA e FINALE; infine, e con maggior dettaglio, le procedure che determinano l’accesso o meno all’anno successivo e gli esami di Stato. 

Inoltre, le norme fissano i compiti del collegio docenti, invero a maglie fin troppo larghe e con un uso non sempre appropriato dei termini. Ebbene, è proprio nell’ambito collegiale che, a fare capoccella, sono le burocratizzazioni e il «segno» della tutela della libertà di insegnamento viene sovente oltrepassato. Pure, andrebbe applicata la legge universale ed eterna del «lessi s more». Quali dunque i compiti del collegio docenti? Il collegio decide la scansione dell’anno scolastico (anche il periodo unico, a mio avviso, è una opzione); i criteri (criteri…) per la valutazione periodica e finale nelle varie discipline, ratificando quanto disposto da dipartimenti o gruppi di lavoro; le iniziative di recupero e sostegno agli apprendimenti. Punto.

Finito l’ambito del «dover essere», si entra nel territorio del «poter essere», con le accortezze del caso. Il collegio può deliberare che i docenti utilizzino per la valutazione in itinere delle schede di valutazione e dare gli elementi essenziali affinché ognuno predisponga le proprie (qui un prontuario minimo su criteri, descrittori, indicatori e una ulteriore scheda su come si può procedere correttamente), ma senza obbligare a usarne una specifica (aspetto in palese violazione prima che della libertà di insegnamento, del buon senso); può deliberare lo svolgimento di «prove comuni» (e in tal caso sì che la «scheda» deve essere adottata collegialmente, e che collegialmente va definita la procedura (tipo di prova, apprendimenti da verificare, modalità di valutazione, eventuale scala ordinale).

Poi, ci sono le «colonne d’Ercole». I «non si fa». Non si impone l’uso/il non uso della scala ordinale nella valutazione in itinere; non si «segretano» le prove; non si ripropone l’abrogata (ABROGATA) distinzione tra discipline a prova scritta, orale, scrittografica, pratica e chi più ne ha, più ne metta… E non è che non lo si fa perché lo dico io, ma perché è il risultato di una lettura non dozzinale del quadro normativo e contrattuale, alla luce dell’unica bussola valida: il ruolo dell’istituzione scolastica come struttura preposta a favorire il diritto all’istruzione. Usare questo concetto come «setaccio di Socrate» non sarebbe una cattiva idea…

Infine, ma non infine. «Sperimentare» una particolare modalità di valutazione, che ciò riguardi uno, dieci, cento docenti, non significa fincare una voce in un modulo.

«Sperimentare» significa che quell’uno, dieci, cento docenti sono CONVINTI di provare a usare una determinata modalità; significa FISSARE la modalità; significa avere chiari gli OBIETTIVI che si ritiene di poter raggiungere attraverso quella modalità… e significa VALUTARLA attraverso criteri e indicatori precisi e verificabili, non «a muzzo», nel Collegio di giugno… e, valutandola, si deve essere pronti ad aggiustare il tiro in corso d’opera o, eventualmente, abbandonare l’esperimento se non funziona…  sentendo anche, e soprattutto, gli alunni.


PS. Per chi poi volesse approfondire, ecco una raccolta di spunti in un volume liberamente consultabile edito dal Mulino, Sguardi sulla valutazione.

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