21 aprile 2024

L'adozione dei libri di testo e la libertà di insegnamento. Prima parte: l'inquadramento giuridico.

L’adozione dei libri di testo e la richiesta di materiale didattico si pongono al crocevia tra attribuzione degli organi collegiali, libertà di insegnamento e diritto all’istruzione. Questo è il primo di due post, dedicato all’inquadramento giuridico della questione, mentre il secondo sarà indirizzato ad alcune proposte valutative. Come noto, entro «la seconda decade di maggio» le istituzioni scolastiche devono provvedere alla delibera relativa, che rientra tra le attribuzioni del collegio docenti, organo sovrano in materia di funzionamento didattico dell’istituto. Si tratta però di una sovranità limitata dalla libertà di insegnamento. Detto in altre parole, il Collegio non può intervenire né come organo censore né può conculcare il diritto di ciascun docente di avvalersi o non avvalersi di un sussidio didattico. E qui mi sia consentito lasciare la parola alle Istituzioni di diritto scolastico pubblicate per Giappichelli assieme a Salvatore Milazzo: «Più precisamente, tra i compiti principali attribuiti, al collegio compete: curare la programmazione dell’azione educativa, nel rispetto della libertà di insegnamento garantita per Costituzione a ciascun docente; deliberare le modalità di articolazione periodica dell’anno scolastico; provvedere all’adozione dei libri di testo, sentiti i consigli di classe e, nei limiti delle disponibilità finanziarie indicate dal consiglio di istituto, alla scelta dei sussidi didattici, fermo restando la possibilità delle cosiddette “adozioni alternative”. Proprio questo aspetto merita un breve approfondimento che può fare da cartina al tornasole per analoghi casi in cui è giocato l’equilibrio tra scelte collegiali e libertà di insegnamento.

Le adozioni sono regolate dalla Nota annuale da parte del ministero che, al di là dei dettagli operativi, richiama, sia pure per sommi capi, le disposizioni vigenti in materia e alcuni principi: «Si ricorda ai dirigenti scolastici di esercitare la necessaria vigilanza affinché le adozioni dei libri di testo di tutte le discipline siano deliberate nel rispetto dei vincoli normativi» (e qui il riferimento è ai tetti di spesa e agli elementi procedurali) «assicurando che le scelte siano espressione della libertà di insegnamento e dell’autonomia professionale dei docenti... Le istituzioni scolastiche che hanno deciso di non adottare libri di testo accedono alla suddetta piattaforma specificando che si avvalgono di strumenti alternativi ai libri di testo». Ovviamente, si può osservare che la Nota semplifica e riassume situazioni più varie e complesse: specie alla primaria, le «adozioni alternative» sono in capo ai team e la spesa è a carico dei comuni: il che implica una maggiore proceduralizzazione; resta fermo che la decisione per l’adozione alternativa può anche non coinvolgere l’intero istituto o tutti i team e i docenti.

La norma base è rappresentata dall’art. 15 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, che al comma 2 fissa, inequivocabilmente, il principio dell’«eventualità» dell’adozione: «A partire dall’anno scolastico 2008-2009, nel rispetto della normativa vigente e fatte salve l’autonomia didattica e la libertà di scelta dei docenti nell’eventuale adozione dei libri di testo o nell’indicazione degli strumenti alternativi prescelti, in coerenza con il piano dell’offerta formativa, con l’ordinamento scolastico e con il limite di spesa, nelle scuole di ogni ordine e grado, tenuto conto dell’organizzazione didattica esistente, i competenti organi (scil., collegio docenti) individuano preferibilmente i libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet».

L’adozione del libro di testo non è dunque un obbligo, così come non vi è alcun obbligo di utilizzarlo, qualora sia stato comunque adottato. Vi è, in effetti, un profilo anche costituzionale in merito. La sfera della libertà di insegnamento non può infatti non riguardare anche gli strumenti didattici, seppure con le mediazioni necessarie per evitare un eccesso di spesa da parte delle famiglie, laddove questo rischio sia concreto. Ovviamente, il docente resta responsabile della qualità e dell’efficacia dell’azione educativa, ed è su questo aspetto (o meglio, sulla mancanza di questo essenziale aspetto) che può incorrere nella sanzione della dispensa dal servizio per incapacità ex art. 512 del Testo Unico. Il principio della libertà di ricerca e di insegnamento è posto in equilibrio funzionale con l’altro diritto, inalienabile, che è quello all’istruzione.

L’intermediazione del collegio riguarda, di fatto, 1) l’approvazione in generale delle adozioni (attraverso un controllo formale, visti i richiamati rischi di lesione della libertà di insegnamento, salvo casi estremi di diniego da motivare) e 2) le cosiddette «adozioni alternative», per disciplinare l’utilizzo del tetto di spesa previsto (anche in questo caso, salvo stravaganze, il collegio effettua una presa d’atto) per materiale didattico alternativo: in questo caso, una speciale casistica è rappresentata dalla possibilità di adottare, caso per caso, specifico materiale necessario all’individualizzazione funzionale al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento degli alunni con disabilità, con DSA o con altri BES.

Lo stesso d.l. n. 112/2008, all’art. 15, comma 2-bis, disciplina una terza fattispecie particolare, in base alla quale è l’istituzione scolastica a farsi editrice dei propri testi: «Gli istituti scolastici possono elaborare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo e strumenti didattici per la disciplina di riferimento; l’elaborazione di ogni prodotto è affidata ad un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell’opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare nel corso dell’anno scolastico. L’opera didattica è registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite e successivamente inviata, entro la fine dell’anno scolastico, al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e resa disponibile a tutte le scuole statali, anche adoperando piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell’ambito di progetti pilota del Piano Nazionale Scuola Digitale del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per l’azione “Editoria Digitale Scolastica”». Si trattò, all’epoca, di normare sulla base di principi generali la preesistente attività della rete Book in progress, nata spontaneamente a partire da alcune realtà di eccellenza (gli IIS Tosi di Busto Arsizio e Majorana di Brindisi), anche a seguito dei dubbi espressi dalle associazioni degli editori».

18 aprile 2024

Plusdotazione... possono le leggi, potrebbe ancor di più la scuola

Mi sembra opportuno fare un breve riassunto dello stato dell'arte sulla cosiddetta plusdotazione, anche in occasione della discussione, in commissione al Senato, di alcuni disegni di legge (segnatamente, il DDL 180 - Zanettin e il DDL 1041 - Marti) volti al riconoscimento degli alunni «ad alto potenziale cognitivo».

Mi sono trovato ad avere a che fare con il tema tanto in ambito scolastico, intervenendo in qualche caso, quanto accademico (in ultimo, facendo da relatore a una ottima tesi in SFP), quanto amministrativo, trovandomi da un lato sullo scrittoio una proposta di linee guida (di cui poi si sono perse le tracce) che rispedii al mittente perché, pur con spunti interessanti, troppo lunghe e burocratizzanti; dall'altro mettendo in norma l'unica azione positiva attualmente prevista in ordinamento.

Il senso di questo post è nel cercare di ricondurre la questione nell'alveo della normativa generale e capire cosa è necessario, cosa superfluo e cosa rischia di trasformarsi in un danno.

Primo concetto generale: sulla base del d.lgs 66/2017, articolo 1, comma 1, il sistema di istruzione italiano ha adottato la prospettiva inclusiva: «L'inclusione scolastica riguarda… gli alunni… risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno… costituisce impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica». Inclusione, al netto dei cascami più o meno retorici, è concetto che implica di guardare agli alunni come persone, con le loro specificità, e adottare strategie didattiche in grado di trarre, da ciascun alunno, il meglio possibile, anche andando oltre i risultati di apprendimento previsti dagli ordinamenti.

Secondo concetto generale: ogni istituzione scolastica ha gli strumenti innanzitutto organizzativi, come configurati dal dpr 275/1999 e declinati nella normativa specifica dei vari gradi, per favorire l’inclusione: classi aperte, classi di livello, opzioni, potenziamenti… E ogni docente gode della libertà didattica più piena, garantita dalla Costituzione, che ha come confini il quadro normativo e ordinamentale, ma che al loro interno si muove liberamente avendo come principale finalità (come dire, l’alfa e l’omega) mettere nelle condizioni ciascun alunno di usufruire al meglio delle sue possibilità del diritto all’istruzione.

In questa cornice, il legislatore ha disposto una serie di «azioni positive» a favore di alcune categorie di alunni, segnatamente gli alunni con Bisogni educativi speciali, ovvero, secondo la definizione della Dichiarazione di Salamanca, «tutti quei bambini e ragazzi i cui bisogni derivano da disabilità o difficoltà di apprendimento», ovvero, secondo l’ICF da «qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o transitoria in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che necessita di educazione speciale individualizzata». Secondo la più precisa definizione dell’OCSE, che ha fatto il suo ingresso nell’ordinamento italiano attraverso la direttiva Profumo, la macrocategoria dei BES distingue «la disabilità, composta dai soggetti certificati sulla base della legge 104/1992;  l’area dei disturbi evolutivi specifici, che ricomprende i disturbi specifici dell’apprendimento (Legge 8 ottobre 2010, n. 170) i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria e per la comune origine nell’età evolutiva – anche quelli dell’attenzione e dell’iperattività, mentre il funzionamento intellettivo limite può essere considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico…; l’area dello svantaggio economico, linguistico, culturale».

Detto in soldoni, gli alunni con disabilità e gli alunni con DSA hanno il diritto, basato sulla relativa certificazione, all’adozione di strumenti progettuali (PEI e PDP) che organizzano una didattica specifica e specifiche «azioni positive». Per gli alunni con altri bisogni educativi speciali, la decisione sull’adozione o meno di un PDP rientra nella sovranità del Consiglio di classe, con alcune azioni sistemiche che riguardano soprattutto gli alunni provenienti da contesti migratori.

Attenzione: tutto ciò NON significa che i docenti, nella loro libertà didattica, non possano (e in alcuni casi debbano) intraprendere, A PRESCINDERE dalle carte bollate, azioni positive specifiche per i singoli alunni. Con un esempio che faccio sempre all’università, un docente che fa leggere ad alta voce un alunno con dislessia «perché la certificazione non c’è» dovrebbe riflettere attentamente sulla sua scelta professionale.

Nel caso degli alunni ad alto potenziale, l’unica azione positiva attualmente prevista si rintraccia nel DM 5/2021 dedicato agli «Esami integrativi ed esami di idoneità nei percorsi del sistema nazionale di istruzione». All’articolo 2, comma 5 si dispone che «possono accedere all’esame di idoneità per l’anno di corso successivo a quello cui possono essere ammessi a seguito di scrutinio finale, senza interruzione della frequenza scolastica, gli alunni ad alto potenziale intellettivo con opportuna certificazione attestante anche il grado di maturazione affettivo-relazionale su richiesta delle famiglie e su parere favorevole espresso all’unanimità dai docenti della classe o dal consiglio di classe».

Si tratta, a dire la verità, dell’unica disposizione normativamente necessaria, che ha l’intelligenza, per l’applicazione pratica, di demandare la scelta al consiglio di classe in base ai due parametri necessari, concernenti la capacità di apprendimento e la «maturazione affettivo relazionale».

Per il resto, nulla, ma proprio nulla (eppure, mi è capitato saltuariamente di sentirmelo dire) vieta di perseguire per questi alunni un tipo di didattica e di predisposizione degli obiettivi di apprendimento ADATTA… eventualmente, stilando un progetto specifico (non un PDP…  il cui uso è improprio, a meno che l’alunno con alto potenziale non rientri ANCHE in una delle categorie BES), una sorta di Piano di studio personalizzato che, a ben vedere, può tranquillamente accompagnare la scheda di valutazione diventando un riferimento nel passaggio tra una classe e l’altra e tra un grado e l’altro di istruzione. In fondo, è la logica del Curriculum dello studente e dell’orientamento: purché si sfugga dalla tentazione della «compilazione». Nell’ambito della progettazione didattica, sono possibili tutta una serie di iniziative, sia interne al gruppo classe (ottimi risultati si verificano attraverso l’adozione della «Didattica differenziata» proposta dalla Tomlison e importata in Italia da Luigi d’Alonzo), sia esterne (nell’ambito della stessa istituzione scolastica, è ovviamente possibile far seguire all’alunno le lezioni in altre classi di alcune materie specifiche): e tutto ciò, a normativa invariata. Ovvio che sarebbe opportuna una formazione specifica dei consigli di classe interessati: e non sono certo le risorse economiche, in questo momento, a mancare…

La mia preoccupazione è che un intervento legislativo specifico che vada al di là del riconoscimento degli alunni ad alto potenziale, dell’eventuale adozione di linee guida (magari sobrie… e che tuttavia potrebbero già essere adottate), dell’allocazione di risorse per la formazione dei docenti (o, perché no, di borse di studio…) rischi l’ennesima burocratizzazione. Tanto il DDL Marti, più «di quadro», che il DDL Zanettin, maggiormente dettagliato, hanno molti elementi di pregio che fanno tesoro delle rare, ma ben condotte, esperienze in corso.

Vi è, casomai, un problema di cultura collettiva, che nessuna norma può, se non in tempi lughi, mutare, che porta in generale a trascurare l’eccellenza o a considerarla quasi una colpa…  il che spiega l'enorme ritardo con cui il tema è affrontato, non solo rispetto agli USA (primo paese al mondo a prevedere disposizioni specifiche), ma anche rispetto alle indicazioni eurounitarie. 

Le parole della disabilità: finalmente si fa ordine

Il decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62 , recante «Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamen...