Plusdotazione... possono le leggi, potrebbe ancor di più la scuola...
Mi sembra opportuno fare un breve
riassunto dello stato dell'arte sulla cosiddetta plusdotazione, anche in
occasione della discussione, in commissione al Senato, di alcuni disegni di
legge (segnatamente, il DDL 180 -
Zanettin e il DDL
1041 - Marti) volti al riconoscimento degli alunni «ad alto potenziale
cognitivo».
Mi sono trovato ad avere a che fare con il
tema tanto in ambito scolastico, intervenendo in qualche caso, quanto
accademico (in ultimo, facendo da relatore a una ottima tesi in SFP), quanto
amministrativo, trovandomi da un lato sullo scrittoio una proposta di linee
guida (di cui poi si sono perse le tracce) che rispedii al mittente perché, pur
con spunti interessanti, troppo lunghe e burocratizzanti; dall'altro mettendo
in norma l'unica azione positiva attualmente prevista in ordinamento.
Il senso di questo post è nel cercare di
ricondurre la questione nell'alveo della normativa generale e capire cosa è
necessario, cosa superfluo e cosa rischia di trasformarsi in un danno.
Primo concetto generale: sulla base del
d.lgs 66/2017, articolo 1, comma 1, il sistema di istruzione italiano ha
adottato la prospettiva inclusiva: «L'inclusione scolastica riguarda… gli
alunni… risponde ai differenti bisogni educativi e si realizza attraverso
strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità
di ciascuno… costituisce impegno fondamentale di tutte le componenti della
comunità scolastica». Inclusione, al netto dei cascami più o meno retorici, è
concetto che implica di guardare agli alunni come persone, con le loro
specificità, e adottare strategie didattiche in grado di trarre, da ciascun
alunno, il meglio possibile, anche andando oltre i risultati di apprendimento
previsti dagli ordinamenti.
Secondo concetto generale: ogni
istituzione scolastica ha gli strumenti innanzitutto organizzativi, come
configurati dal dpr 275/1999 e declinati nella normativa specifica dei vari
gradi, per favorire l’inclusione: classi aperte, classi di livello, opzioni,
potenziamenti… E ogni docente gode della libertà didattica più piena, garantita
dalla Costituzione, che ha come confini il quadro normativo e ordinamentale, ma
che al loro interno si muove liberamente avendo come principale finalità (come
dire, l’alfa e l’omega) mettere nelle condizioni ciascun alunno di usufruire al
meglio delle sue possibilità del diritto all’istruzione.
In questa cornice, il legislatore ha
disposto una serie di «azioni positive» a favore di alcune categorie di alunni,
segnatamente gli alunni con Bisogni educativi speciali, ovvero, secondo la
definizione della Dichiarazione di Salamanca, «tutti quei bambini e ragazzi i
cui bisogni derivano da disabilità o difficoltà di apprendimento», ovvero, secondo
l’ICF da «qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o
transitoria in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione tra
vari fattori di salute e che necessita di educazione speciale individualizzata».
Secondo la più precisa definizione dell’OCSE, che ha fatto il suo ingresso nell’ordinamento
italiano attraverso la direttiva Profumo, la macrocategoria dei BES distingue «la
disabilità, composta dai soggetti certificati sulla base della legge 104/1992; l’area dei disturbi evolutivi specifici, che
ricomprende i disturbi specifici dell’apprendimento (Legge 8 ottobre 2010, n.
170) i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione
motoria e per la comune origine nell’età evolutiva – anche quelli
dell’attenzione e dell’iperattività, mentre il funzionamento intellettivo
limite può essere considerato un caso di confine fra la disabilità e il
disturbo specifico…; l’area dello svantaggio economico, linguistico, culturale».
Detto in soldoni, gli alunni con
disabilità e gli alunni con DSA hanno il diritto, basato sulla relativa
certificazione, all’adozione di strumenti progettuali (PEI e PDP) che
organizzano una didattica specifica e specifiche «azioni positive». Per gli
alunni con altri bisogni educativi speciali, la decisione sull’adozione o meno
di un PDP rientra nella sovranità del Consiglio di classe, con alcune azioni
sistemiche che riguardano soprattutto gli alunni provenienti da contesti migratori.
Attenzione: tutto ciò NON significa che i
docenti, nella loro libertà didattica, non possano (e in alcuni casi debbano) intraprendere,
A PRESCINDERE dalle carte bollate, azioni positive specifiche per i singoli
alunni. Con un esempio che faccio sempre all’università, un docente che fa
leggere ad alta voce un alunno con dislessia «perché la certificazione non c’è»
dovrebbe riflettere attentamente sulla sua scelta professionale.
Nel caso degli alunni ad alto potenziale,
l’unica azione positiva attualmente prevista si rintraccia nel DM 5/2021
dedicato agli «Esami integrativi ed esami di idoneità nei percorsi del sistema
nazionale di istruzione». All’articolo 2, comma 5 si dispone che «possono
accedere all’esame di idoneità per l’anno di corso successivo a quello cui possono
essere ammessi a seguito di scrutinio finale, senza interruzione della
frequenza scolastica, gli alunni ad alto potenziale intellettivo con opportuna
certificazione attestante anche il grado di maturazione affettivo-relazionale
su richiesta delle famiglie e su parere favorevole espresso all’unanimità dai
docenti della classe o dal consiglio di classe».
Si
tratta, a dire la verità, dell’unica disposizione normativamente necessaria,
che ha l’intelligenza, per l’applicazione pratica, di demandare la scelta al
consiglio di classe in base ai due parametri necessari, concernenti la capacità
di apprendimento e la «maturazione affettivo relazionale».
Per il
resto, nulla, ma proprio nulla (eppure, mi è capitato saltuariamente di
sentirmelo dire) vieta di perseguire per questi alunni un tipo di didattica e
di predisposizione degli obiettivi di apprendimento ADATTA… eventualmente,
stilando un progetto specifico (non un PDP… il cui uso è improprio, a meno che l’alunno
con alto potenziale non rientri ANCHE in una delle categorie BES), una sorta di
Piano di studio personalizzato che, a ben vedere, può tranquillamente
accompagnare la scheda di valutazione diventando un riferimento nel passaggio
tra una classe e l’altra e tra un grado e l’altro di istruzione. In fondo, è la
logica del Curriculum dello studente e dell’orientamento: purché si sfugga
dalla tentazione della «compilazione». Nell’ambito della progettazione
didattica, sono possibili tutta una serie di iniziative, sia interne al gruppo
classe (ottimi risultati si verificano attraverso l’adozione della «Didattica
differenziata» proposta dalla Tomlison e importata in Italia da Luigi d’Alonzo),
sia esterne (nell’ambito della stessa istituzione scolastica, è ovviamente
possibile far seguire all’alunno le lezioni in altre classi di alcune materie
specifiche): e tutto ciò, a normativa invariata. Ovvio che sarebbe opportuna
una formazione specifica dei consigli di classe interessati: e non sono certo le
risorse economiche, in questo momento, a mancare…
La mia
preoccupazione è che un intervento legislativo specifico che vada al di là del
riconoscimento degli alunni ad alto potenziale, dell’eventuale adozione di
linee guida (magari sobrie… e che tuttavia potrebbero già essere adottate),
dell’allocazione di risorse per la formazione dei docenti (o, perché no, di
borse di studio…) rischi l’ennesima burocratizzazione. Tanto il DDL Marti, più «di
quadro», che il DDL Zanettin, maggiormente dettagliato, hanno molti elementi di
pregio che fanno tesoro delle rare, ma ben condotte, esperienze in corso.
Vi è, casomai, un problema di cultura collettiva, che nessuna norma può, se non in tempi lughi, mutare, che porta in generale a trascurare l’eccellenza o a considerarla quasi una colpa… il che spiega l'enorme ritardo con cui il tema è affrontato, non solo rispetto agli USA (primo paese al mondo a prevedere disposizioni specifiche), ma anche rispetto alle indicazioni eurounitarie.
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