Valutazione alla primaria e giudizi sintetici: circolano le prime bozze

Orizzonte scuola pubblica una bozza dell’ordinanza che riforma la valutazione periodica e finale alla scuola primaria, tornando ai giudizi sintetici e passando dai livelli «avanzato, intermedio, di base, in via di prima acquisizione», ai più consueti «ottimo, distinto, buono, discreto, sufficiente, insufficiente»: una scala che, a ben vedere, corrisponde ai voti numerici, in una gamma che va dal 10 al 5. Tecnica della Scuola pubblica il parere, favorevole con osservazioni, del CSPI.

Ma andiamo al succo, fermo restando che si tratta di una bozza e che la mia è solo una «valutazione in itinere», in attesa del testo finale. Ho sempre dato un rilievo relativo alla «scala ordinale» scelta e mutata in vari momenti storici. Non è quello il tema didatticamente rilevante, come predico ai miei studenti, anche se lo è da un punto di vista della percezione della pubblica opinione e, se vogliamo, delle scelte politiche, legittimamente adottate dal Parlamento. È invece rilevante, anzi essenziale, ciò che sta alle spalle della «scala». E su questo tema ci sono almeno quattro buone notizie.

Primo, è confermato e riaffermato lo «scopo» della valutazione, che non è meramente sommativo. Non ci si limita a una classificazione, perché (articolo 2, comma 1) «la valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento degli alunni, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze». È giustamente ripresa la formula giuridica utilizzata dal dlgs 62/2017 ed è confermata una linea di continuità, espressa già dal dPR 122/2009, che afferma il valore educativo della valutazione e che rifugge, non mi stancherò mai di ripeterlo, dalla «media dei voti», nozione frutto della (cattiva) abitudine, ma mai prevista da nessuna norma, dal 1859 a oggi.

Secondo, su quali descrittori baso la valutazione? L’allegato A, «descrizione dei giudizi sintetici per la valutazione degli apprendimenti nella scuola primaria» riporta, per ciascun giudizio sintetico, i relativi descrittori, cioè le evidenze che guidano la scelta del team sul giudizio da assegnare.

Debbo dire che l’ordinanza, se confermata, dimostra di fare tesoro dell’esperienza maturata attraverso l’OM 172/2020. Sono infatti presenti, per ciascun descrittore, le dimensioni utilizzate in questi quattro anni: l’autonomia con cui l’alunno affronta la disciplina; la tipologia di situazione, nota o non nota; le risorse mobilitate per portare a termine il compito; la continuità nella manifestazione dell’apprendimento. In più, vi è un accento sulle conoscenze e sulle abilità disciplinari, che nell’ordinanza previgente era riassunto, forse troppo sbrigativamente, dal termine «compiti». Si tratta di dimensioni consolidate dal dibattito docimologico e che trovano una corrispondenza empirica in ciascun processo di valutazione ben condotto, verrebbe da dire «nei secoli dei secoli».

Terzo, è confermato (articolo 3, comma 4), inequivocabilmente, che «la valutazione in itinere resta espressa nelle forme che il docente ritiene opportune e che restituiscano agli alunni, in modo pienamente comprensibile, il livello di padronanza dei contenuti verificati». Tradotto in soldoni, scegliere la scala ordinale tra numero/giudizio sintetico/livello/lettera/stelline/emoticon, o scegliere di non usare alcuna scala, o di farlo quando lo si ritenga opportuno, è affare del docente e solo del docente.

La «sintesi» ordinale può anche non esserci, nella valutazione in itinere, ma ciò che DEVE esserci è una «scheda» che spieghi all’alunno qual è stato il grado di raggiungimento del risultato atteso, quali sono stati gli errori, quali gli apprendimenti da consolidare e approfondire, quali invece sono stati pienamente colti. In caso contrario, si verrebbe meno allo scopo della valutazione: come posso migliorare, se non so cosa e come ho sbagliato? Devo dire che proprio questo è l’aspetto spesso lacunoso della valutazione in itinere, laddove la prassi è la sottolineatura dell’errore, eventualmente la correzione a latere, ma un vuoto cosmico sul perché e sul come apprendere dall’errore. Ed è invece solo riempiendo quel vuoto che la valutazione assume anche una funzione orientativa.

Quarta conferma: all’articolo 4, si sottolinea come «la valutazione degli alunni con disabilità certificata è correlata agli obiettivi individuati nel piano educativo individualizzato» e che la «valutazione degli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento tiene conto del piano didattico personalizzato». Quest’ultima formulazione merita un chiarimento, perché nella pratica dei team (e dei consigli di classe) si vede di tutto. Tradotto in soldoni, quel «tenere conto» significa che a contare è il risultato di apprendimento raggiunto, al netto degli strumenti compensativi e delle misure dispensative utilizzate.

Detto delle conferme e delle innovazioni apportate, a venire meno è la scelta degli «obiettivi oggetto di valutazione» che ogni team era chiamato a evidenziare nel documento periodico e finale di valutazione e che costituivano la «prima colonna» delle tre opzioni di tabella previste dalle previgenti Linee guida.

Proprio questo ambito potrebbe essere un utile oggetto dell’elaborazione (articolo 3, comma 5) «dei criteri di valutazione, da inserire nel Piano triennale formativa, declinando, altresì, per ciascun anno di corso e per ogni disciplina del curricolo la descrizione dei livelli di apprendimento correlati ai giudizi sintetici riportati nell’Allegato A alla presente ordinanza». 

I suddetti criteri rischiano di diventare una parafrasi, assolutamente tautologica, dei «descrittori», piuttosto cristallini, già previsti nella bozza. Se invece l’attività dei collegi si concentrasse sul curriculum di istituto, che non raramente si traduce in una poco utile parafrasi (quando non un «incolonnamento» sulla base della trinità «conoscenza, abilità, competenze») delle Indicazioni nazionali, andando piuttosto a identificare i risultati di apprendimento fondamentali previsti per ciascuna disciplina e ciascun anno di corso, il lavoro didattico, la trasparenza, la verticalizzazione e la ricorsività tra primaria e secondaria di primo grado se ne gioverebbero parecchio. 

In fondo, si darebbe davvero corpo a quanto prescritto all’articolo 2, comma 1, che ricorda come «la valutazione degli apprendimenti nella scuola primaria concorre, insieme alla valutazione del processo formativo, alla maturazione progressiva dei traguardi di competenza definiti dalle Indicazioni Nazionali ed è coerente con gli obiettivi di apprendimento declinati nel curricolo di istituto».

Nulla vieterebbe, in tal senso, di accompagnare il documento di valutazione periodica e finale con una scheda sintetica in grado, sulla base dei risultati previsti, di individuare punti di forza e di debolezza degli alunni, ancorandoli a obiettivi di apprendimento concreti.

Non solo: sempre facendo leva sull’autonomia didattica, gli stessi descrittori previsti per la primaria e la stessa scheda sintetica potrebbero essere correlati al documento di valutazione periodica e finale della secondaria di primo grado, andando a costituire un elemento che darebbe maggiore concretezza e omogeneità a una unitarietà del primo ciclo rimasta, troppo spesso, solo sulla carta.

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