Esami di Stato e prova orale: il diritto a braccetto con la didattica
Spero possano essere utili a raddrizzare,
dove necessario, il tiro. Sottolineo che il ruolo di custode della legge, con
oneri e onori connessi, spetta al presidente di commissione: chiamato innanzitutto
a stare all’erta rispetto a due comportamenti assolutamente da censurare.
Il primo, è l’assetto da «spedizione punitiva» adottato da
qualche commissario esterno. Perché un conto è, come giusto, essere rigorosi. Altro,
mostrarsi pedanti con l’unico obiettivo di mostrare le proprie piume e far
cadere i candidati.
Il secondo, è una sorta di «celomanca», che consiste nel
lamentarsi delle vere o presunte lacune nel documento del 15 maggio davanti
agli incolpevoli candidati, con tanto di occhi al cielo o giudizi taglienti su
questa o quella presunta devastante mancanza. Intendiamoci: non che le
programmazioni siano tutte conformi alle indicazioni nazionali. Ma ammesso e
non concesso che ciò sia, in quel particolare caso, vero (ebbene sì… capita che il commissario si inalberi
per programmazioni in realtà conformi alla norma, ma difformi rispetto alle sue
abitudini), i candidati NON c’entrano. È il presidente a dover, casomai,
segnalare al Dirigente scolastico questa o quella disfunzione.
E veniamo all’esame. Cosa si valuta, al «colloquio»? Lo dice
la norma: «Il colloquio ha la finalità di accertare il conseguimento del
profilo educativo, culturale e professionale della studentessa o dello studente
(PECUP)», PECUP a sua volta scandito in risultati di apprendimento (specifici
per ciascun percorso liceale, tecnico, professionale e ulteriormente precisati
per indirizzo) che hanno un carattere trasversale e interdisciplinare. A ben
vedere, si tratta di una delle poche prove nelle quali realmente sono messe
alla prova le competenze degli alunni, chiamati a organizzare quanto appreso, a
partire dal materiale messo loro a disposizione dalla commissione, per passare
all’educazione civica, all’illustrazione del PCTO, alla discussione delle prove
scritte ed eventualmente dell’elaborato qualora si trascinino un sei in
comportamento.
Nelle slide
trovate alcune avvertenze. La principale, la voglio sottolineare. Tanto le fasi
del colloquio quando la «griglia» di valutazione (OBBLIGATORIA… la norma
prevede i soli casi in cui può essere ribilanciata) hanno un carattere, per
così dire, olistico. Posso dire che in tanti anni ho particolarmente apprezzato
gli alunni che riuscivano a far convergere, nel «materiale», anche PCTO ed
educazione civica. Ciò che non trova spazio, se non in abitudini avulse dal
tessuto normativo, è la prassi dell’«interrogatorio», con tanto di sedia che
scorre cigolando da commissario a commissario. Il che non significa non
interloquire col candidato, anzi. Ma sempre a partire dalle fasi del colloquio,
senza sovrapporne altre che con gli obiettivi da valutare non hanno nulla a che
fare.
Aggiungo una chicca: quando i commissari erano chiamati a una verifica puntuale del «syllabus» disciplinare previsto da Giovanni Gentile, era lo stesso filosofo di Castelvetrano ad ammonire reiteratamente nelle varie Avvertenze che l’esame non dovesse tradursi in uno sfoggio meramente mnemonico. Per chi si fa scudo della tradizione, senza capire che in realtà il suo è uno scudo fatto dalla latta dell'abitudine, ecco il link ai programmi d’esame del 1923…
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