A proposito di Damiano... le basi per uno "studio di caso"

Non entro nel merito della vicenda che ha coinvolto Damiano, rappresentante degli studenti dell’Istituto Barozzi di Modena che sarebbe in procinto di ricevere una sospensione, a leggere la stampa, per le opinioni espresse alla Gazzetta di Modena in questa intervista del 28 novembre 2023: confesso che ho fatto non poca fatica a rintracciarla, perché nessuno dei media da me consultati sul caso riportava il link al testo…  
Non entro nel merito, perché per esperienza so quanto tra i fatti e le narrazioni costruite intorno ai fatti possano esserci enormi differenze. Un conto (non sempre) sono le ricostruzioni che di una vicenda fanno i protagonisti e i media, altro conto la realtà della stessa vicenda, come può emergere almeno in parte dalla lettura delle carte. Che poi la si possa interpretare, è altra faccenda… come asseriva il grande storico Carr, «il fatto che una montagna assuma forme diverse a seconda dei punti di vista dell’osservatore non implica che essa non abbia alcuna forma oggettiva, oppure un’infinità di forme».
Proviamo per un attimo ad astrarci e a individuare le basi di un possibile studio di caso. Come si studia un caso del genere? Su quali elementi? Con quali norme? Seguendo quale logica?
La «forma oggettiva» è data dalla raccolta dei fatti, allegati alla «contestazione di addebito» e dalla correlazione tra i «fatti», la contestazione di addebito disciplinare (ovvero, come e perché i «fatti» abbiano assunto una rilevanza disciplinare), il contraddittorio, la valutazione compiuta dall’organo deputato e la corrispettiva sanzione. Il tutto, ovviamente, seguendo la «traccia» delle norme in vigore, che indicano rigorosamente la procedura da seguire e dettano i criteri generali.
Sulle norme, il riferimento d’obbligo è allo Statuto dellestudentesse e degli studenti, decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno1998, n. 249 e al Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122. In seconda battuta (come ho avuto modo di precisare, assieme a Salvatore Milazzo, nelle nostre Istituzioni di diritto scolastico) interviene il Regolamento di Istituto, chiamato a una disciplina di dettaglio entro i rigorosi confini di quanto stabilito dalla normativa nazionale. Per fare un paio di esempi, nessun regolamento di istituto può contravvenire al dPR 122/2009, nel momento in cui stabilisce (art. 7, comma 4, ultimo periodo) che «in nessun modo le sanzioni sulla condotta possono essere applicate agli alunni che manifestino la propria opinione come previsto dall'articolo 21 della Costituzione della Repubblica italiana»; nessun regolamento di istituto può derogare alla regola del contraddittorio scolpita dal dPR 249/1998, in base alla quale «nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni» (art. 4, comma 3, secondo periodo); nessun regolamento (o, peggio mi sento, determina dirigenziale) può mutare le sedi del contraddittorio e del successivo giudizio, fissate nel consiglio di classe per le sanzioni che comportino un allontanamento (la volgare «sospensione») sino a quindici giorni, nel consiglio di istituto per «sospensioni» superiori a quindici giorni o che implichino «l'esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all'esame di Stato conclusivo del corso di studi» (art. 4, comma 6). All’interno di questi e altri criteri, «i regolamenti delle singole istituzioni scolastiche individuano i comportamenti che configurano mancanze disciplinari con riferimento ai doveri» degli studenti, «al corretto svolgimento dei rapporti all'interno della comunità scolastica e alle situazioni specifiche di ogni singola scuola, le relative sanzioni, gli organi competenti ad irrogarle e il relativo procedimento» (art. 4, comma 1). Senza dimenticarsi che «allo studente è sempre offerta la possibilità di convertire le (sanzioni) in attività in favore della comunità scolastica» (art. 4, comma 5): in tal caso, il Regolamento di istituto provvede a stabilire ambiti, modalità… ma NON può non prevedere la conversione, in base al principio della funzione a un tempo retributiva e riabilitativa della pena (che nella patria di Verri, Beccaria, Zanardelli dovrebbe essere ben noto).
Vi è dunque un doppio piano (accertamenti dei fatti e delle corrispettive sanzioni, da un lato; procedure e regole del contenzioso, dall’altro), sul quale vigila non il TAR, ma in prima istanza l’organo di garanzia istituito presso ogni istituzione scolastica (art. 5, comma 1) e in seconda istanza il direttore dell’Ufficio scolastico regionale, dietro parere vincolante dell’organo di garanzia regionale (art. 5, commi 3 e 4).
Un elemento spesso trascurato è che l’organo regionale di garanzia, stante la lettera dell’art. 5 comma 3, non ha funzioni limitate alla decisione sui provvedimenti disciplinari, ma può pronunciarsi, su istanza, «sui reclami proposti dagli studenti della scuola secondaria superiore o da chiunque vi abbia interesse, contro le violazioni del presente regolamento, anche contenute nei regolamenti degli istituti». L’organo e dunque il direttore può dunque essere chiamato a pronunciarsi sulle «violazioni», dunque, di tutto lo Statuto, con particolare riferimento anche ai «Diritti» degli studenti declinati dall’articolo 2, sui quali in prima istanza vigila il dirigente scolastico, in quanto garante, a un tempo, dell’offerta formativa e della comunità educante.
Un’ultima osservazione. Non solo dello Statuto e dei «documenti fondamentali di ogni istituzione scolastica» dovrebbe essere «fornita copia agli studenti all’atto dell’iscrizione» (art. 6 comma 2), ma ai sensi dell’art. 5-bis, comma 3, «nell'ambito delle prime due settimane di inizio delle attività didattiche, ciascuna istituzione scolastica pone in essere le iniziative più idonee per le opportune attività di accoglienza dei nuovi studenti, per la presentazione e la condivisione dello statuto delle studentesse e degli studenti, del piano dell'offerta formativa, dei regolamenti di istituto e del patto educativo di corresponsabilità». L’istituzione scolastica, come amo ripetere, è (anche) un ambiente giuridico. E conoscere gli atti che ne regolano la vita è il primo e più rilevante aspetto dell’educazione civica. Non a caso, le Linee guida sull’insegnamento dell’Educazione civica ricordano come «lo Statuto delle studentesse e degli studenti, il Patto educativo di corresponsabilità e i Regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche» costituiscano «la base per lo sviluppo delle competenze di cittadinanza». Va notato come questa prescrizione normativa risulti non applicata sistematicamente, a fronte magari di una progettazione immaginifica su altri aspetti. Non è per fare il sostenitore della politica del «piede di casa», ma discettare di più ampie, profonde e impegnative questioni trascurando i rudimenti dello stare insieme nella propria comunità appare quantomeno stravagante.
La «Revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti», una volta approvata, implica future modifiche del dPR 249/1998 e del dPR 122/2009 e potrebbe essere l’occasione per ribadire e ristabilire le corrette attività di conoscenza degli atti fondamentali che governano le comunità educanti.    


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