Abbecedario... Compiti sì, no, come?

Premessa: non entro nell’aspra contesa «compiti sì, compiti no», buona per i dibbbbatti vacanzieri. Preferisco concentrami sul «compiti come», che mi sembra alquanto più sensato, posto che l’assegnarli o meno entra nella libertà di insegnamento e non c’è un rigo di norma che imponga di farlo (tantomeno di assegnarli a nastro… stile Classe operaia va in paradiso).

Intanto, per quanto possa essere scontata, una definizione... «Il compito è un lavoro assegnato agli alunni allo scopo di verificare, consolidare, approfondire i risultati di apprendimento previsti al termine di una o più attività didattiche». Punto. Il «dove», casa o scuola, e il «quando» influiscono casomai sulla progettazione dello specifico compito, da coordinare sempre e in ogni caso con la progettazione complessiva. 

Tralascio volutamente le svariate specificazioni che si rintracciano nella manualistica e di cui grondano gli eserciziari dei libri di testo, invitando a rifiutare nettamente la moda (sorella della morte, come ci ha insegnato Leopardi in un brillante Dialogo) e a domandarsi sempre, sempre, sempre se le varie proposte variamente aggettivate servano o meno a  «verificare, consolidare, approfondire i risultati di apprendimento previsti al termine di una o più attività didattiche».

Apro con un caso specifico ed estremo. Il «compito a casa», assegnato in una classe di scuola primaria a tempo pieno, è in linea generale una contraddizione in termini (didattici), visto che il tempo pieno è nato sul presupposto di far coincidere tempi di apprendimento e tempo scuola. Per cui, e mi rivolgo alle mie maestre e ai miei maestri a maggior ragione, ma le questioni valgono per qualsiasi grado di istruzione, se assegno compiti per automatismo, perché «così fan tutti» o perché «è fondamentale» o «perché me lo ha detto la collega», magari senza pormi nemmeno il problema del perché lo sia, è male; se li assegno perché invece ne verifico la necessità, forse è un segnale che qualcosa nella progettazione è andato storto. Se li ritengo davvero utili, mi devo porre altre domande… è congruo assegnarli indistintamente a tutti, o invece è opportuno differenziare, individualizzando nei casi necessari o magari personalizzando, anche in funzione orientativa?

Il che ci porta al «come». Perché il «così fan tutti», l’abitudine eretta a imperativo categorico kantiano si porta spesso dietro una catena di insensatezze, che toccano l’acme nell’assegnazione dei compiti per le vacanze… si va dalla sfilza di esercizi ripetitivi (matematica e grammatica gli insegnamenti più colpiti dal morbo taylorista – nemmeno fordista), alle letture obbligatorie e assegnate indistintamente, che non tengono conto, solitamente, del livello di competenza raggiunto dagli alunni. 

La scheda Lo studio a casa è utile all’apprendimento (buona, come quasi tutte, per docenti e alunni) pone alcune domande, adattate dall’Index anche sulla scorta delle osservazioni, raccolte nel tempo, di alunni di varia età. Poche domande, basate su alcune aree… primo, quella della progettazione, anche collegiale; secondo, quello del confronto con le classi; terzo, quella della personalizzazione e individualizzazione, all’insegna del modello della differenziazione didattica che, assieme all’Index, costituisce il filo rosso delle riflessioni affidate all’Abbecedario.

La domanda 11, «Esiste la possibilità di svolgere i compiti a casa a scuola, durante la pausa pranzo, prima delle lezioni o oltre l’orario scolastico?», apre una serie di scenari. L’ultima opzione rappresenta esperienze che ho visto praticare, soprattutto presso istituzioni scolastiche paritarie, ma anche statali (come dire, poche ma buone) che hanno concentrato i loro sforzi, anche economici ma soprattutto progettuali, attraverso lo studio assistito, sul consolidamento e sul potenziamento degli apprendimenti in itinere.  

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