Maestri veri... Alberto Manzi.

Confesso: amo Alberto Manzi. Il suo essere stato sempre, qualsiasi cosa facesse, innanzitutto un maestro di scuola elementare. Anche nelle sue proteste, fermissime, ma mai «descamiciate», parlava il maestro che viveva con le sue classi e nelle sue classi: fossero gli alunni del carcere minorile «Aristide Gabelli», le vecchiette dai volti scavati di «Non è mai troppo tardi», i bambini nella foresta amazzonica, i suoi scolari alla «Fratelli Bandiera», il centro erano sempre le persone… e non si fa insegnamento se non si parte dalle persone.

C’è tanta didattica e tanta pedagogia, in Manzi. Non nei trattati, beninteso, perché non ne scrisse. Occorre setacciare gli appunti, guardare alle tante pubblicazioni di editoria scolastica, leggere i suoi romanzi (quanto può insegnare, oggi, Orzowei?), appuntare le osservazioni sparse sui giornali, le interviste, gli spezzoni delle sue trasmissioni… è la didattica di un maestro per i maestri, nel quale lo spessore della preparazione (non si viene chiamato da Volpicelli alla facoltà di magistero per nulla: e peccato che l'esperienza durasse pochissimo) si fa pratica quotidiana.

Mi piacerebbe, in occasione del centenario della nascita, avere meno fiori e più opere di bene. Ad esempio, un investimento sulla digitalizzazione dell’immenso patrimonio conservato dal Centro Alberto Manzi varrebbe più della consueta sfilza di convegni.

Proprio dal patrimonio conservato nell'Archivio del Centro, vi porto tre esempi, tre carotaggi da un giacimento infinito.

Il primo sono 33 (33… non 333) pagine dedicate dalla collana Spunti per lezioni all’Educazione civica, pubblicati per l’Editrice A.V.E. nel 1970. Spunti, per l’appunto: «monografie che hanno lo scopo di presentare agli insegnanti quegli argomenti che spesso sono oggetto delle loro lezioni», una sorta di «itinerario di lavoro» da usare «come meglio convenga al piano didattico» (e non, come sovente capita, viceversa).

Il secondo sono quattro foglietti di appunti, intitolati «Nuove lezioni di didattica», che sono un condensato di buonsenso educativo. Disgraziatamente, sono privi di una qualsiasi scheda che possa collocarli sulla linea del tempo e del luogo (un convegno? un percorso universitario? una riflessione personale?), ma poco male. Leggerli è un balsamo, per la chiarezza e la consequenzialità delle osservazioni, del tutto prive di orpelli.

Il terzo è un episodio di un capitolo noto… il rifiuto di Manzi di compilare le «schede di valutazione» volute dal legislatore del 1977 e la conseguente, inevitabile sospensione dall’insegnamento comminata dal Consiglio di disciplina del Provveditorato. Raccomando la lettura della breve intervista a Manzi, intitolata «È mio dovere non formulare giudizi falsi», che è un manifesto, al di là del merito stretto della vicenda, di antivanverismo pedagogico e di come si compia una critica a una norma che si ritiene strampalata, pagandone anche le conseguenze senza piagnistei.  

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