Abbecedario... Accogliere (innanzitutto) il personale scolastico
Detto questo, il tema dell’accoglienza
di qualsiasi persona, a qualsiasi titolo, entri a far parte della comunità
educante, a prescindere dal tempo di permanenza e dalla posizione occupata, è a mio avviso centrale: vale per il collaboratore scolastico come per il docente, per il tirocinante
come per l’assistente all’autonomia o alla comunicazione, il cui stato giuridico sarà pure anomalo, ma che dal momento in cui si interfaccia con gli
alunni è parte della comunità educante e dunque affare del DS. Si tratta, in
fondo, di un imprinting: «Seconda aula destra, terzo piano, 5° A», al
netto di situazioni emergenziali, è espressione inascoltabile. Che sia «abitudine»
in non poche istituzioni scolastiche, non toglie che sia abitudine che sarebbe
meglio modificare. E mi fermo qui. Perché sarebbe poco utile aprire il registro
delle testimonianze raccolte in quindici anni di servizio ispettivo e in dodici
di insegnamento universitario: l’abisso è a mio modo di vedere costituito dal
supplente cui è impedito l’accesso al PEI degli alunni con disabilità «per
questioni di privacy»…
Mi preme sottolineare invece un
punto: l’«utilizzo ottimale delle risorse dell’organico dell’autonomia», come
disegnato dalle norme e dai contratti (Legge 107/2015 art. 1 commi 63, 64, 65,
66, 67, 68, 75, 83; CCNL/2024 artt. 41-43; soprattutto l’art. 25 del Dlgs 165/2001
e l’art. 1, comma 93 della L. 107/2015 che delineano i compiti del DS) non può
prescindere dalla conoscenza delle persone e dei loro profili. Se non conosco «chi»,
il «come» diventa mera burocrazia: riempire caselline perché lo si deve fare.
Pure l’inclusione, intesa come paradigma (ovvero, realtà ideale concepita come modello cui tendere) in grado di mettere ciascuno nelle condizioni migliori per sviluppare al massimo le proprie possibilità, tocca certo gli alunni, ma tocca altresì i docenti, il personale ATA e chiunque interagisca con gli alunni stessi. Anzi, parte da loro.
Per un banale principio di psicologia del lavoro, difficile pretendere un particolare atteggiamento, la maturazione di valori comuni, l’adozione di un paradigma (tralascio volutamente tutto l’armamentario terminologico impiegato in lungo e in largo nei percorsi formativi…), in sostanza l'adozione di una cultura comune se l’esempio non arriva dal vertice e se quella stessa cultura non innerva le policy.
Attenzione: parto dalla consapevolezza che il carico di lavoro sulle spalle di un DS è abnorme, talmente spropositato da rendere impossibile fare tutto, a meno di non riuscire a far funzionare una «governance diffusa» che ha però come presupposto un buon clima di lavoro e la migliore gestione del personale. Proprio l’impossibilità di far tutto impone di individuare le priorità e di farlo consapevolmente: scegliere, per non lasciarsi scegliere, in sostanza, governare. Per me, le policy concernenti il personale sono priorità assoluta.
Un buon punto di partenza per comprendere lo stato dell’arte e come eventualmente intervenire sono gli indicatori che l’Index per l’inclusione dedica proprio al personale scolastico. A questo specifico aspetto ho dedicato un post, cui rimando per l’inquadramento generale. Ho però pensato di fare un passo in più… enucleando dall’Index, adattando e ampliando (sobriamente!) ad alcune specificità italiane una scheda (rigorosamente in word) che può aiutare, attraverso l’indicatore «Il personale neoarrivato è incluso nell’istituzione scolastica» e le domande ad esso correlate, a comprendere cosa potrebbe essere migliorato. Come spesso capita, diverse domande indicano quello che, a mio avviso, dovrebbe essere una policy corretta. Con l'avvertenza che non basta la brochure con l'elenco degli adempimenti...
So che ogni volta che si propone qualcosa di diverso (a prescindere dal tema…), immediatamente si risponde elencando i vincoli, le impossibilità, gli ostacoli. Posto che molti sono dettati dall’abitudine; posto che le situazioni cambiano da istituzione scolastica a istituzione scolastica e che la ricetta pronta non esiste, il fatto che diverse istituzioni scolastiche adottino policy specifiche significa, banalmente, che è possibile farlo… dopo aver fatto una diagnosi, chiamare un collega per definire la prognosi non è una cattiva idea… soprattutto coinvolgere l'istituzione scolastica tutta.
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