Abbecedario. L'apprendimento significativo e i suoi nemici
Gabelli, sia detto per inciso, era uomo che combinava in sé
l’insegnamento, la capacità amministrativa, lo studio accademico. Quando affermava
qualcosa, aveva perfetta cognizione di quel che diceva, di come andava detto e
delle ricadute pratiche.
1. L'apprendimento significativo
Ora, come in altri casi, la scienza (in questo caso, le
neuroscienze e la psicologia dello sviluppo) conferma di ciò che le migliori
persone di scuola hanno sempre saputo, praticato e predicato (spesso invano). Per tradurre Gabelli in termini moderni, occorre puntare agli «apprendimenti
significativi», ovvero «agli apprendimenti che si che si consolidano anche
perché collegati ad altri apprendimenti». Attenzione. Perché le teorie di cui vi
accennerò hanno il pregio di fondarsi su come il nostro cervello funziona, sulla
sua architettura.
La nozione la dobbiamo a David Ausubel, seguace di Jan Piaget, per il
quale l’apprendimento significativo avviene quando i nuovi concetti e le nuove
informazioni si ancorano alle conoscenze preesistenti nella mente dell’alunno arricchendole
e modificandole. In tal modo, le nuove informazioni sono integrate nella
struttura cognitiva esistente, facendo sì che l’alunno possa comprenderle e dunque
non solo ricordare meglio i nuovi contenuti, ma essere in grado di
riutilizzarli nel tempo e di contestualizzarli (l’assimilazione e
l’accomodamento di cui parlava per l’appunto Piaget).
Va da sé che l’insegnante può aiutare il processo di
«significativizzazione» dell’apprendimento, ma non può imporlo… la
comunicazione avviene quando emittente e destinatario entrano in sintonia. Per
dirla con Joseph
Novak, «l’insegnamento e l’apprendimento sono degli eventi interattivi e
coinvolgono i pensieri, i sentimenti e le azioni sia del docente che
dell’alunno. Qualsiasi evento educativo rappresenta un’azione condivisa per
cercare uno scambio di significati ed emozioni tra l’alunno e il docente.
Questo scambio o negoziazione diventa emozionalmente positivo e
intellettualmente costruttivo quando gli studenti allargano le proprie
conoscenze rispetto a una porzione di sapere o di esperienza; viceversa, si
rivela negativo o distruttivo quando manca la comprensione». La significatività
dell’apprendimento, dunque, ha come presupposto la consapevolezza, nell’alunno,
che quanto comunicato è importante per lui. Quando sento tesisti asserire «così
l’apprendimento diventa significativo», non posso che pensare «beata gioventù».
Meglio dire che «con tale modalità, l’apprendimento ha maggiori possibilità di
diventare significativo».
A questo scopo, l’ambiente di apprendimento, per come lo abbiamo definito, è lo sfondo essenziale; la «differenziazione didattica» quanto mai opportuna, perché ovviamente le
strutture cognitive cambiano da alunno ad alunno; la ciclicità, ovvero la
ripresa a distanza di tempo di un argomento per consolidarlo e arricchirlo,
raccomandabile, perché consente di partire dal SEMPLICE e di evitare di
adultizzare l’alunno. Con l’avvertenza che ciclicità non significa ridondanza,
da evitare tassativamente.
Va da sé che pretendere di farcire l'alunno come un tacchino da imbandire per il giorno del Ringraziamento ottiene esattamente l’effetto opposto: nel migliore dei casi, il risultato sarà un apprendimento meccanico o ripetitivo, una memorizzazione (a breve…) buona giusto per la prova di verifica. Peggio mi sento se l'apprendimento imposto risulta slegato da quanto la psicologia dello sviluppo ci ha insegnato.
2. Il carico cognitivo
Il che ci porta ad accarezzare un altro concetto, quello di carico
cognitivo. Perché la memoria di lavoro non è infinita.
John Sweller, uno
psicologo australiano, nel 1988, ha introdotto il concetto di carico cognitivo,
ovvero la quantità totale di attività mentale imposta alla memoria di lavoro in
un dato istante. Detto volgarmente, lo sforzo mentale richiesto per acquisire
un determinato concetto. La teoria del carico cognitivo (Cognitive Load
Theory, CLT) si presta in particolare ad aiutare nella progettazione di una
lezione o di un corso, anche se gli sviluppi successivi la pongono alla base di
una teoria dell’istruzione. Resta un punto: se non si tiene conto del
funzionamento della memoria a breve termine e della limitatezza della memoria
di lavoro e se non le si ottimizza, l’azione didattica naufraga.
Il carico cognitivo grava sui processi
di attenzione, di comprensione e di acquisizione di contenuti, perché questi
sfruttano la memoria di lavoro, ovvero la capacità di elaborare informazioni
attivando più processi in contemporanea attraverso diversi canali, che ha una
capienza limitata per tutti e per chi ha un disturbo è anche ridotta. Questa è
come il buffer del PC: quando apri troppe applicazioni insieme, il
sistema va in crush e perdi tutti i dati che non hai avuto modo di
salvare nei diversi «scomparti» di memoria.
Naturalmente la motivazione ad
apprendere un determinato argomento agevola tutto il processo di acquisizione e
consolidamento degli apprendimenti (un argomento interessante, un insegnante
coinvolgente, un rapporto affettivo). La paura invece ha l'effetto contrario: a
breve termine funziona per "salvarsi la vita", ma scampato il
pericolo l'informazione viene rimossa, innescando spesso reazioni di evitamento
e fuga di fronte a compiti di apprendimento.
Sweller classifica lo «sforzo mentale»
in carico cognitivo intrinseco, dovuto alla maggiore o minore difficoltà
dell’argomento di studio e, mi viene da dire, alla maggiore o minore
significatività potenziale, in ragione anche del singolo alunno; e in carico
cognitivo estraneo, ovvero «il troppo e il vano» che pesano senza essere
necessari o utili al processo di insegnamento/apprendimento: le troppe applicazioni
aperte nel buffer. Fred Paas
e Jeroen
van Merrienborer, entrambi psicologi dello sviluppo olandesi, hanno
aggiunto il concetto di «carico cognitivo pertinente», detto «germanico»,
ovvero, per riprendere il filo del nostro ragionamento, lo sforzo necessario per
«significativizzare» l’apprendimento.
Dalla teoria CLT si dipartono una
serie di indicazioni utili per la didattica. Ma la prima, ed essenziale, è che
il «sovraccarico cognitivo» devasta irrimediabilmente il processo di
insegnamento e spedisce l’apprendimento significativo nel Walhalla del
vanverismo pedagogico. La CLT può funzionare anche come «setaccio di Socrate»
utile a «dimensionare» una sfilza di pratiche didattiche o di parole d’ordine
modaiole destinate al fallimento e alla conseguente frustrazione, non a causa
del destino cinico e baro, ma del non tenere conto della realtà.
Se poi, a livello macro, il
legislatore, come nel 1888, quantomeno dialogasse col mondo della didattica neuroscientificamente
orientata, perderemmo le lenzuolate di risultati o obiettivi di apprendimento variamente
affastellati e ne guadagneremmo in solidità educativa.
3. Il deficit cumulativo nell’apprendimento
Aggiungo un altro pezzetto,
strettamente pertinente. Se si produce un vuoto nell’apprendimento, le
ripercussioni sono drammatiche. È il famoso «gli mancano le basi!», perché
ovviamente ogni lacuna pregiudica, più che il voto in pagella, la struttura
cognitiva. Diventa non solo un «anello mancante» della catena, ma produce un «deficit
cumulativo nell’apprendimento, che definisco come l’impossibilità esponenziale
di raggiungere apprendimenti significativi dovuta al progressivo accumularsi di
lacune nel processo di apprendimento che depauperano la struttura cognitiva»:
perché se mi manca l’anello, non ho dove agganciare gli apprendimenti successivi
e quelli successivi ancora.
Pensiamo alla struttura di un
popolarissimo videogioco, Candy Crash. Se non supero il livello conquistando
perlomeno una stellina, il sistema non mi fa andare oltre, perché non ho
acquisito le abilità necessarie ad affrontare il livello successivo. Sistema saggio, da cui imparare: e siccome
dalla scuola del «marcia o muori» siamo passati al paradigma dell’integrazione,
il compito di iniettare cemento nelle fondamenta spetta ai docenti. Va da sé
che i mini corsi di recupero, variamente allestiti, hanno in questo quadro un
ben scarso significato, perché intervengono quando la falla è già enorme, mentre
assumono rilievo le strategie di individualizzazione da adottare in corso d’opera.
Grazie Professore, sempre chiaro e illuminante.
RispondiEliminaGrazie a lei... spero queste pillole possano esservi utili per alcune "messe a punto"!
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